Una buona alleanza

Una buona alleanza

FRA  SCIENZA  E  CARITAS   (COME VIRTU’ CRISTIANA)

Da qualche mese è in circolazione un agile ma sostanzioso volume della Libreria Editrice Vaticana, dal titolo “LA BUONA ALLEANZA- Scienza e fede a difesa della Casa Comune”. Ne sono autori Vincenzo BALZANI, professore emerito di chimica dell’Università di Bologna, noto nel mondo per le sue 650 pubblicazioni, e il Vescovo ERIO, esperto teologo, vicepresidente della Cei e membro del Sinodo della Chiesa universale sulla sinodalità.

Stranamente nella nostra diocesi la pubblicazione non ha trovato finora particolare risonanza, forse anche perché pandemia, guerre, e i contraccolpi socio-economici di talune strategie, intraprese per promuovere la “conversione ecologica”, hanno sensibilmente ridotto l’attenzione dell’opinione pubblica su questa cruciale tematica. 

Con la sollecitazione di documenti papali come LAUDATO SI’ e LAUDATE DEUM, la Chiesa si è posta, con un’enfasi non sempre condivisa al suo interno, proprio in prima linea nella richiesta insistente di un vero e proprio cambiamento di paradigma nel rapporto umanità/ambiente. L’obbiettivo è fronteggiare una crisi che, con radicali mutamenti climatici, provocherà, se non contrastata risolutamente, sempre più gravi tensioni ambientali e sociali, fino a mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della vita dei popoli sul nostro pianeta.

Lo scienziato, in queste dense pagine, spiega, con dovizia di documentazione, che la via maestra per scongiurare disastri consiste prioritariamente nel puntare sulle energie rinnovabili, abbandonando quelle fossili, come da anni anche gli Organismi internazionali vanno teorizzando in periodici convegni, purtroppo fin qui scarsamente seguiti da concrete e coerenti scelte politiche degli Stati.

Da parte sua il nostro don Erio afferma l’esigenza che la teologia smantelli l’idea che l’uomo possa sfruttare a piacimento l’ambiente, passando dal ruolo di dominatore a quello del saggio custode. L’argomentazione del Vescovo parte dalla puntualizzazione su questi due termini, presenti nelle prime pagine della Genesi e nell’insegnamento di Gesù, scorrendo giù giù fino al nostro tempo, attraverso richiami, prima ai Vangeli e alle Lettere paoline; poi all’armoniosa e feconda Regola di San Benedetto (ecologia del tempo scandito fra preghiera e lavoro), e soprattutto alla spiritualità  francescana  del Santo d’Assisi e di San Bonaventura, fino alle profonde riflessioni di Galileo Galilei e Giacomo Leopardi.

Il discorso di don Erio punta così a rimarcare il rapporto inscindibile, positivo o negativo che sia, fra l’umanità e l’universo in cui vive, con una precisazione fondamentale: “Nessuna assimilazione fra le creature e il Creatore, nessuna sacralizzazione del creato”. In altri termini: “Non è con uno sguardo orizzontale che San Francesco scopre la fraternità cosmica, ma con uno sguardo liturgico, adottando lo sguardo stesso di Dio”. Cioè l’opposto di un panteismo, negatore pure di una sostanziale differenza fra l’uomo e le altre creature, che spesso connota certo odierno ambientalismo.

Di fronte all’allarme posto dalla scienza circa la possibile catastrofe ecologica che si profila per l’impatto distruttivo che l’agire umano provoca sul pianeta, s’impone, scrive Castellucci, una considerazione di base: “Dove prevale la logica del consumo e del profitto con alti costi, difficilmente si fa strada il senso della responsabilità verso gli altri popoli e le future generazioni. In queste società la natura non solo non viene considerata una casa da custodire, ma nemmeno una semplice cava di materiali da estrarre; diventa addirittura una cassa, un conto corrente alimentato dalla speculazione, da una logica di mercato e da una finanza spregiudicata”. (p. 79). A tal proposito, si può forse integrare, a parer mio, questa chiara denuncia di un capitalismo di rapina, con il riferimento più politico-strategico al peso determinante che su queste dinamiche esercita l’interesse concreto dei singoli Stati, le cui classi dirigenti sono ispirate sicuramente in certi casi da un aggressivo neocolonialismo, ma in altri, piuttosto dalla tutela di comprensibili esigenze nazionali, sotto la pressione dei rispettivi elettorati.

Non manca nel libro l’opportuna sottolineatura del carattere minaccioso di una tecnologia, guidata da un criterio acritico ed incondizionato di sviluppo, che può, a giudizio del citato filosofo e teologo Hans Jonas, “causare effetti secolari e millenari”, per cui non è più sufficiente un’etica kantianamente   individuale dei diritti e dei doveri. E’ necessaria un’etica della previsione e della responsabilità, oltrepassando l’utopia del progresso illimitato e l‘arroganza di ogni filosofia, che consideri la natura disponibile ad essere manipolata a piacere. Il nuovo imperativo categorico suona pertanto così: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”. (p. 111)

Conclude don Erio con l’invito ad evitare, in questo ambito, sia il “catastrofismo” che il “negazionismo”, adottando “uno stile personale sobrio, sostenibile, sano”. Nella consapevolezza dell’intreccio inscindibile fra questione ecologica e questione sociale, occorre, secondo l’enciclica Fratelli tutti, una “rivoluzione culturale per cui gli uomini e anche le nazioni passino dalla condizione di abitanti dello stesso pianeta, in competizione commerciale o addirittura in guerra fra loro, a quella di fratelli che si sostengono e collaborano per realizzare la sostenibilità ecologica e sociale”. (p. 118)

In sostanza è una lettura utile e chiarificatrice quella qui proposta, sull’alleanza scienza-fede, apprezzabile sia per lo stile piano dell’esposizione, che per la lucida argomentazione e il copioso corredo di dati statistici e di pronunciamenti del Magistero. Mi permetto tuttavia una modesta, ma forse non inutile, osservazione. Stante l’evidente marcata valenza etica del messaggio comune dello scienziato e del teologo, (“di fronte ai molti problemi del mondo non si può non scegliere; anche il “non scegliere” è una scelta” (p. 134), a me pare che su questo terreno l’alleanza sia, non tanto fra scienzae fede, ma fra la scienza e la virtù cristiana della carità.

E’ ben vero che nelle pagine iniziali si afferma che esistono due scritture: “La scrittura dell’uomo, la scienza che si occupa dei fatti, dei FENOMENI e delle teorie che li spiegano (il come); e la scrittura di Dio, la Bibbia, dove si trovano i grandi INTERROGATIVI dell’uomo (il perché).”  Si tratta, leggiamo, di “due aspetti complementari, entrambi essenziali, di un’unica realtà: la realtà umana”. 

 Ma, a ben vedere, una plausibile coesistenza  fra queste due dimensioni dello spirito è assai spesso  radicalmente contestata, in quanto, come nel libro si riconosce, gli scienziati vanno “oltre l’oggetto formale della loro disciplina e si sbilanciano con affermazioni o conclusioni che eccedono il campo propriamente scientifico” (p. 11), Sarebbe quindi strano non tener conto che proprio lo scientismo, cioè una visione del mondo e dell’uomo puramente tecnico-scientifica, è alla base della secolarizzazione che ha permeato la società occidentale,  riducendo la narrazione biblica a mito o scrittura meramente umana, la fede a superstizione o ipotesi consolatoria.

Solo tramite la riflessione filosofica e teologica sulla Parola è possibile tentare di conciliare in qualche misura RAZIONALMENTE le visioni scientifica e cristiana della realtà, che, sul piano teoretico, per i più appaiono incompatibili. Su quello ETICO, cioè della prassi, in cui è in campo soprattutto la caritas, come virtù teologale, esse possono invece agevolmente cooperare per far fronte alle grandi sfide dell’umanità del nostro tempo.

Ma, si sa, la titolazione accattivante di un saggio, quasi sempre, è decisa dall’editore.

Pier Giuseppe Levoni