Don Bruno e i suoi dubbi
Non sappiamo quanti lettori di Notizie seguano la rubrica che regolarmente tiene sul nostro settimanale diocesano il Direttore Responsabile Don Bruno Fasani, presbitero di Verona. Sappiamo però che non nasconde un certo pessimismo sugli esiti che, per la Chiesa Cattolica, potrebbe avere il Sinodo dei Vescovi, convocato dal Papa per il prossimo autunno e per quello del 2024.
Come è noto, il tema di questa importante evento recita testualmente: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Di fronte al cambio d’epoca che attraversiamo, la Chiesa non può appagarsi del “si è fatto sempre così”, ma deve ascoltare per saper leggere i segni dei tempi, e quindi essere disponibile a cambiare per restare fedele, oggi, al messaggio evangelico.
Il problema è che esistono, dal Concilio in qua, due modi di intendere il riferimento ai suddetti “segni dei tempi”, conseguenza del dualismo di fondo che caratterizza i testi del Vaticano II; un dualismo frutto di quella regola del consenso, cioè della quasi unanimità, che ha finito per inglobale, pro bono pacis , sia la visione dei tradizionalisti che quella degli innovatori.
C’è infatti chi, come il nostro don Erio, suggerisce una lettura esplicitamente ottimistica, per cui oggi la Chiesa adotta, rispetto al passato, un approccio “ più umile, meno trionfalistico e capace di rapportarsi col mondo dall’interno, non dall’alto”, in una relazione cioè di reciproco ascolto e scambio, per cogliere i semi di bene che lo Spirito ovunque può far scaturire. E li elenca nel suo libro “Benedetta crisi!”: anelito alla pace, promozione economico-sociale dei lavoratori, ingresso della donna nella vita pubblica, crescente ed inarrestabile senso di solidarietà di tutti i popoli ecc. In altri termini, scrive il nostro Vescovo: “La Chiesa non solo dà al mondo, ma pure riceve da esso”, così superando “quella concezione a senso unico che vedeva in essa il soggetto dell’annuncio e nel mondo, semplicemente, il destinatario”.
C’è invece chi, come don Bruno nella sua nota del 2 aprile su Notizie, denuncia il rischio di una lettura dell’attenzione ai segni dei tempi come progressivo adeguamento alle acquisizioni della cultura e del costume corrente. Cita in proposito il teologo ortodosso Evdokimov , che, decenni or sono, a suo dire profeticamente, così si esprimeva: “Dopo millenni di vita cristiana storica, il giudizio più terribile che il mondo possa dare sulla Chiesa è di diventare il suo riflesso fedele”. A riprova di tale possibile deriva il Direttore esemplifica, elencando le “richieste avanzate dalla Chiesa tedesca, riunita con 230 delegati insieme ai loro vescovi” in merito “alla benedizione delle coppie dello stesso sesso e l’Eucarestia ai divorziati risposati”. La medesima assise, lamenta don Fasani, ha inoltre auspicato importanti riforme della normativa attuale circa “l’ordinazione diaconale delle donne, l’abolizione dell’obbligo del celibato” e della regola vigente di scrivere “il genere sessuale sui registri di battesimo”, superando finalmente una visione del Magistero “che ignora variazioni non binarie (ossia maschile e femminile)”. Se la direzione del Sinodo 2023-24 fosse di questo tenore, conclude preoccupato don Bruno: “Non sono così sicuro che il confronto sarà una ricerca sul come testimoniare più credibilmente il Vangelo”.
Ora il richiamo a queste due ben distinte prospettive, al di là del giudizio su singoli aspetti, induce una considerazione di fondo. Il cammino verso una Chiesa veramente” sinodale”, auspicata da papa Francesco, per assumere uno stile di “ascolto” e di “partecipazione”, non potrà lasciare inalterate norme e strutture. Senza dimenticare la stessa tematica dei “linguaggi” finora utilizzati. Prendere atto, da parte del Popolo di Dio, di questa ottica innovativa implica una seria disponibilità all’approfondimento dei temi e al confronto aperto, senza indulgere a nostalgici “indietrismi”, come esorta Bergoglio. Solo “camminando insieme”, senza deleghe a pochi laici o magari ai soli preti e vescovi , si potranno evitare traumatiche conseguenze, a livello di base, in presenza degli inevitabili “cambiamenti” che dovranno essere adottati.
Ecco perché diventa importante il più ampio coinvolgimento dei fedeli, delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali in questi due anni di ”ascolto”, non solo per favorire un’esperienza, pur utile in sé, di riflessione comunitaria, ma per una presa d’atto la più ampia possibile della posta in gioco per il futuro della Chiesa, dopo la fine della “cristianità”. Insiste nel predetto libro don Erio: “La capacità di leggere i segni dei tempi sarà proporzionale alla creazione di luoghi e momenti dedicati al discernimento comunitario a tutti i livelli della vita ecclesiale”.
Chiediamo: sta avvenendo questa larga partecipazione, al di là di pur meritorie iniziative, come cicli di conferenze, convegni e concerti, ove chi presenzia finisce per ascoltare, più che essere ascoltato? Né circolano esaurienti comunicazioni sul cointeressamento reale a tale processo di persone saltuariamente praticanti o ancor più “lontane”, come espressamente sollecitato dalla Cei per questo secondo anno del percorso sinodale.
Piuttosto vaga fu in merito la Relazione diocesana della tarda primavera 2022 che così si esprimeva: “Non si può dire certo che i contributi ricevuti siano stati pochi” ,lamentando poi “il pochissimo coinvolgimento nei gruppi sinodali di persone fragili ed emarginate” , con la nota “allo stesso modo anche i giovani hanno partecipato in modo decisamente minoritario”. E si auspicava per il proseguimenti del cammino che “ci si interroghi su tale mancanza e si tenti qualche correttivo:”
E’ dunque fuori luogo pretendere, in nome della sempre auspicata trasparenza, che la prossima Relazione presenti un quadro meno generico? Quali apporti specifici hanno fornito in materia il Consiglio Presbiterale e il Consiglio Pastorale Diocesano? E sarebbe interessante sapere dettagliamente quanti siano stati in diocesi i “gruppi sinodali” attivati, quante le parrocchie (magari attraverso almeno i rispettivi Consigli Pastorali) , quante le associazioni o i movimenti ecclesiali coinvolti nella consultazione, quanti gli eventuali contributi personali. Se è vero che i numeri non dicono tutto, è altrettanto vero che,“senza” i numeri, resta fatalmente compromessa ogni valutazione circa quella che don Erio chiama la necessaria “capillarità”,che deve contraddistinguere il cammino sinodale.
Al settimanale Notizie, oltre che al sito della diocesi, è affidato il compito di dare ampia e continua informazione di quanto si sta facendo e dei suoi esiti. Se è di fondamentale importanza il processo avviato dal Papa e, in particolare per l’Italia, dalla Cei, lo spazio ad esso dedicato in pagina deve essere proporzionale, fra i tanti argomenti trattati. E perché proprio il settimanale diocesano non potrebbe qualificarsi come strumento efficace nell’illustrazione approfondita delle tematiche sinodali e, con un’apposita rubrica, nell’ascolto dei lettori?
Che magari potrebbero esprimersi, convenendo o dissentendo, circa i dubbi del Direttore don Bruno.
Pier Giuseppe Levoni