Sfogliando l’annuario diocesano 2023
L’ultima fatica saggistica dell’amico Brunetto Salvarani pone un quesito inquietante: l’Occidente post-cristiano sarà sempre più “senza Chiesa e senza Dio”? Planando dall’empireo teologico-planetario alle più modeste plaghe della nostra padana diocesi, la risposta parrebbe negativa, almeno per quanto concerne il primo termine, stando al quadro che emerge dall’Annuario 2023.
Scorrendone le 140 pagine, il lettore non può che trarre consolazione e fiducia, tale è la mole di organismi, uffici, servizi, consigli, associazioni, incarichi, commissioni che compongono la complessa struttura burocratico-pastorale delle nostra diocesi. Nonostante qualche nominativo rimbalzi in più “luoghi”, si resta favorevolmente impressionati dal cospicuo numero di persone (clero,religiosi/e, laici) impegnate nei tanti settori di cui l’Annuario rende puntualmente notizia.
Sono più di 20 gli istituti di formazione, educazione e assistenza (anche se il citato Seminario è defunto da tempo, dopo la pre-fusione con Modena); e ben 27 le associazioni, movimenti, aggregazioni laicali. In termini ante-conciliari il quadro d’insieme potrebbe configurarsi come un autentico “esercito all’altar”, o wojtylamente una significativa presenza cattolica nel tessuto sociale di qua e di là dal Secchia. Con una componente femminile di assoluto rilievo, considerando le suore e le “consacrate” elencate nell’Annuario, senza dimenticare la nota predominanza di tale componente in ambito laicale, a partire dalle catechiste impegnate in ogni parrocchia.
Ma soffermiamoci su taluni aspetti piuttosto problematici. Il confronto con il precedente Annuario 2008 rende plasticamente esplicito il radicale cambio della guardia fra i parroci. Quindici anni fa erano tutti “locali”o comunque italiani, con alcuni sacerdoti collaboratori di altra provenienza; oggi 22 parrocchie su 38 sono gestite da presbiteri di provenienza straniera. Quelli di origine diocesana sotto i 50 anni erano allora 8. Ora sono 4, a conferma di una tendenza che al momento pare inarrestabile, come rileva anche Salvarani; un calo che imporrà una robusta riorganizzazione sul territorio della nostra Chiesa diocesana, non potendo perpetuarsi a lungo la peraltro controversa , ancorché utile, importazione di personale.
Una seconda osservazione riguarda le strutture materiali. Fra chiese parrocchiali, oratori e cappelle, l’Annuario riporta oltre 100 “edifici di culto”. Cui si aggiungono le realtà di supporto: dal Palazzo Vescovile all’ex-Seminario, dalle canoniche alle scuole, dallo storico blocco “Corso-Eden” ai locali di formazione/ritrovo per i fedeli, e alle sedi delle attività caritative. Si tratta di un complesso articolato di impegnativa cura e di non lieve onere economico, che assieme alla “macchina burocratica” con relativo personale alle dipendenze, configura una dimensione aziendale vera e propria, piaccia o meno, la cui gestione esige l’adozione di criteri adeguati. E questo, non meno degli aspetti prettamente “pastorali”, deve essere considerato nell’ottica della progressiva integrazione fra le due diocesi, ormai inevitabilmente destinate alla fusione, come in questi giorni è accaduto per la Chiesa di Cuneo-Fossano, finora unite in persona episcopi. D’altra parte da tempo ci si chiede se non sia venuto il momento di cambiare la normativa canonica, così da liberare finalmente le energie di vescovi e preti da compiti e responsabilità amministrative, affinché possano dedicarsi più fecondamente al loro più specifico servizio: “la preghiera e il ministero della parola”. (At 6,4)
E non sembri fuori luogo la perplessità di chi, sfogliando l’Annuario, non trova un’attenzione adeguata alla dimensione propriamente culturale della pastorale. Oltre al Vicario generale, che ovviamente è oberato di problematiche a 360 gradi, sono elencati 4 vicari per i seguenti settori: vita consacrata, amministrazione, pastorale evangelizzazione e catechesi, carità e fragilità. Vengono sì citate le risorse disponibili (Archivio vescovile, Biblioteca diocesana e Centro multimedia, Museo diocesano con i relativi incaricati), la Commissione Arte Sacra e Beni Culturali e, nell’Ufficio Liturgico, gli esperti che si occupano delle attività musicali connesse. Ed è pur vero che in senso lato fanno cultura per i rispettivi ambiti particolari: il Laboratorio Teologico “Realino”, L’Ufficio per le Comunicazioni Sociali, l’Ufficio Stampa e il Sito Internet, il Settimanale Diocesano. Ma non si può non lamentare l’assenza di un’istanza superiore di coordinamento, promozione e verifica di quanto si va facendo. Mostre d’arte, concerti, laboratori teologici, conferenze bibliche, articoli, iniziative ecumeniche: tutto è positivo; ma può essere ed è in effetti insufficiente di fronte a quella “esculturazione” del Cristianesimo operata dalla secolarizzazione del nostro tempo, più volte richiamata da Salvarani.
Se è vero, come ha ben sintetizzato nel suo ultimo libro il pastore della Chiesa Valdese Paolo Ricca, che, a partire dal XVII secolo la cultura moderna ha progressivamente allontanato le élites sociali europee dalla fede, (teorizzando che Dio è inutile, è una fiaba, è una proiezione, è una droga), solo una proposta filosofico-antropologica alternativa, cristianamente ispirata, può rendere ancora ragionevole, e quindi appetibile per l’uomo tecnico-scientifico di oggi,il credere. E’ dunque questo un ambito fondamentale, che va coltivato con cura e impegno nella pastorale.
Pier Giuseppe Levoni
Tommaso Cavazzuti