L’ascolto nella Chiesa

L'ascolto nella Chiesa

e altre domande intriganti

Bene ha fatto il direttore Luigi Lamma ad organizzare la presentazione a Carpi del libro “Cinque domande che agitano la Chiesa” del vaticanista Rai Ignazio Ingrao, in dialogo con il nostro Vescovo, e a postarne la registrazione sul sito diocesano, per un più largo coinvolgimento dei fedeli.

Ormai non si contano più i saggi recenti sull’oggi e sul domani del cattolicesimo, ultimo dei quali “Dove va la Chiesa?” di Enzo Bianchi. Le tante diagnosi, nutrite di concreti dati statistici, si assomigliano un po’ tutte, anche se spesso difettano  singolarmente proprio circa le cause interne della situazione, mentre decisamente si brancola nel buio in ordine alle previsioni.

Anche Ingrao, richiamando le rosminiane cinque piaghe, si chiede analiticamente se la Chiesa sia capace di parlare davvero a tutti; se sia in grado di fronteggiare il calo della pratica religiosa nell’Occidente e la concorrenza delle Chiese Pentecostali in America Latina e Africa; se osi aprire davvero ai laici e in particolare alle donne; se abbia le risorse culturali per affrontare le sfide bioetiche poste dal progresso tecno-scientifico.  L’ultimo quesito poi non può avere risposte vere e proprie, ma solo suggestioni, ipotecando il futuro delle riforme intraprese da papa Francesco.

Su questo terreno comunque l’autore ritiene improbabili  tre arretramenti:  il richiamo ad una Chiesa aderente allo stile evangelico (trasparenza, povertà, missionarietà), la disponibilità al dialogo (con le altre confessioni e fedi religiose, e con il mondo), la spinta evangelizzatrice di una Chiesa in uscita. Però osserva realisticamente: “Occorrerà mettere ordine in tutte le novità, orientare tutte le spinte emerse nel corso del pontificato, insieme con le domande che arrivano dal basso.”

In sostanza Ingrao, citando Massimo Camisasca, vescovo-emerito di Reggio Emilia, sposa la tesi che sia frutto di un’idea intellettualistica di riforma della Chiesa quella che la immagina come “rottura radicale col passato”, mentre essa “invece vive nella continuità, una particolare coniugazione del rapporto fra presente, passato e futuro.”

Da parte sua don Erio, nell’intervento e nella replica ad alcune domande, si è concentrato su tre questioni.  Circa il futuro delle riforme poste in atto, ha sottolineato l’emergere, nel confronto sinodale dello scorso ottobre, di evidenti “diverse sensibilità” su talune tematiche, sicché è ipotizzabile la necessità che, nel procedere dei cambiamenti si possano prevedere tempi “diversi” di attuazione nelle diverse aree geografiche. Trattandosi però talora non di semplici “sensibilità”, ma di diverse “visioni” teologiche ed ecclesiologiche, questa via  ci pare non priva di rischi per l’autorevolezza stessa del Magistero cattolico, basato da sempre su quell’unità, che, mancando proprio alle confessioni protestanti, ne indebolisce  fortemente la credibilità.

In secondo luogo il Vescovo, ricordando i comportamenti di tanti laici durante la pandemia, ha voluto rimarcare l’opportunità di distinguere fra “praticanti” e persone “in ricerca spirituale”, suggerendo di oltrepassare la dimensione puramente sociologica nel concepire la Chiesa, i cui confini, ha sottolineato, sono nella realtà quotidiana “porosi”. Ora va detto che, se è sacrosanto distinguere fra “religiosità” e “fede”, è altrettanto evidente che una spiritualità soggettiva, vaga e fluttuante, ancorché sincera ed apprezzabile, difficilmente può definirsi propriamente cattolica.

Ma don Erio ha dedicato grande attenzione soprattutto al tema dell’ascolto, la cui centralità è diventata, a suo giudizio, sempre più pregnante nella linea pastorale di papa Francesco, al punto da dedicarvi un lunga tappa iniziale del Cammino sinodale, fino a considerarlo elemento imprescindibile dello stile della Chiesa. In proposito ha ricordato che, mentre nei precedenti Sinodi i contributi provenienti dalle periferie potevano contarsi sulle decine di migliaia e frutto dei soliti addetti ai lavori, stavolta la consultazione ha visto il coinvolgimento a livello mondiale di venti milioni di persone. 

Ottimo risultato certo, corrispondente al 14%  circa dei cattolici dei cinque continenti; una percentuale che, trasferita a livello della nostra diocesi, avrebbe richiesto il coinvolgimento di circa 1800 persone. Stando ad eventi ed incontri raccontati in questo biennio da Notizie, siamo sicuramente a livelli  nettamente inferiori. A ragione il Vescovo  ha lamentato che i gli stessi nostri organismi di partecipazione ( Consigli diocesani e parrocchiali)  troppo spesso scadano a “luogo di comunicazioni di iniziative o a sfogatoi”, e non costituiscano privilegiati “spazi d’ascolto”. Una piaga che da sedici anni, prima con Fede e Cultura e poi con Scintilla, andiamo denunciando. Né ci risulta che siano stati interpellati e ascoltati capillarmente e sistematicamente, nel percorso sinodale locale, gruppi, associazioni e movimenti. Le stringate Relazioni annuali non consentono diversa valutazione.

A conclusione del suo saggio, Ingrao, per evitare il rischio che “i sinodi (quello italiano e quello della Chiesa universale) si riducano a grandi assemblee sul  metodo, senza mai arrivare alla radice dei problemi”, considera prioritario “mettere a tema una profonda riflessione antropologica, con il contributo di quanti affrontano questo argomento con profondità e lucidità, anche se lontani per credo religioso o formazione culturale.”  Come a dire: è l’ora di una riflessione teologica di base, perché la scelta etica (quella sessuale di ieri, come quella socio-ecologica di oggi) necessita di una fondazione, che la giustifichi e la alimenti, fuori dalle urgenze dell’attualità quotidiana.

Postilla curiosa: i due relatori hanno totalmente ignorato la domanda formulata, all’inizio del giro di opinioni, da don Carlo Truzzi sulla riforma dell’esercizio del primato papale, un’esigenza  già manifestata trent’anni fa da papa Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint. In un tempo di accentuata enfasi  su “cambio d’epoca”, “corresponsabilità”, “camminare insieme” e “sinodalità”, può essere coerente il semplice ricorso, nella prassi di  governo della Chiesa, alla sola, pur preziosa, consultazione?

Pier Giuseppe Levoni