Quando insegnavo catechismo in parrocchia mi rendevo conto delle difficoltà che catechisti e catechiste potevano avere nel rispondere a certe domande dei bambini che avevano succhiato, assieme al latte materno, una cultura intrinsecamente atea e materialista. Tra queste domande, forse la più impegnativa riguarda la vita dopo la morte. Una domanda la cui risposta determina di fatto il senso che noi possiamo dare al nostro vivere. Oggi direi che è molto difficile trasmettere in modo efficace “la gioia del Vangelo” Evangelii gaudium. Una gioia piena, che trascende il presente e ci proietta verso una vita eterna.
Nell’enciclica Spe salvi, il papa Benedetto XVI afferma che l’uomo non può vivere senza speranza e, in ultima analisi, senza la grande speranza nella vita eterna che la fede in Gesù ci permette di vivere fin d’ora, come in nuce, attraverso le virtù teologali. La fede in una vita eterna, di fatto, risponde a un bisogno fondamentale dell’uomo e, di conseguenza, ha pure una base razionale; cerco di mostrarlo. Possiamo facilmente osservare che l’oggetto delle nostre speranze, una volta raggiunto, ci lascia insoddisfatti, facendo sì che le piccole o grandi speranze si rivelino sempre illusioni incapaci di colmare il nostro cuore. Fin quando rimane oggetto del desiderio, un bene, anche se limitato, assume nell’immaginazione un carattere assoluto, ma quando è calato nella realtà appare molto relativo e lascia spazio ad altri desideri. Soltanto una vera pienezza di vita può soddisfare l’anelito di un essere per il quale il vivere è fine a se stesso. Qualunque speranza che non sia il superamento definitivo della morte, per ogni singolo individuo è pura illusione.
La cultura moderna, avendo smarrito la fede in Dio e in una vita eterna, ha dovuto ancorare la speranza umana al mito del progresso e all’avvento di un mondo nuovo che, grazie alla scienza, alla tecnica e alle nuove strutture che la società avrebbe creato, sarebbe diventato il regno della ragione e della libertà. Di fatto, però, la fede nel progresso scientifico è una delle tante illusioni di cui l’uomo non può fare a meno quando confida soltanto in se stesso: la scienza è una conquista ed è una prova della grandezza dell’uomo, ma è incapace di mostrarne tutta la dignità ed è insufficiente a garantirne la piena realizzazione. Inoltre, la speranza di cui ha bisogno l’uomo non riguarda il mondo come tale, ma l’individuo, ogni singola persona.
Quanto detto fin qui, da una parte sembra screditare il progresso e quelle che appaiono le conquiste dell’epoca moderna; dall’altra parte, portando il discorso sul piano della ragione, sembra dar meno valore alla fede, esigendo dal credente un tipo di riflessione che a lui può sembrare inutile. Queste possibili obiezioni impongono alcune osservazioni. Anzitutto, il mondo scientifico non ha nulla da temere dalle posizioni della Chiesa. La fede in Cristo non si oppone alla ragione, ma contribuisce a purificarla, rendendola uno strumento a servizio del bene dell’uomo. D’altra parte, l’impressione che il ricorso alla ragione possa diminuire l’importanza della fede è priva di fondamento. In realtà non è così: a) perché l’esercizio della ragione è presente in ogni attività veramente umana; b) perché l’atto di fede stesso presuppone la ragione, dal momento che la rivelazione, accolta attraverso la fede, si esprime in parole e concetti umani e, quindi, in un pensiero razionale. “Chi crede, pensa”.
Quanto, poi, alla necessità di sottoporre la fede a un’analisi razionale, dobbiamo tenere presenti due situazioni diverse: a) il caso in cui le affermazioni della fede cristiana sono recepite e vissute senza che vi si oppongano obiezioni o difficoltà; b) il caso in cui, invece, sono sottoposte al vaglio di una critica razionale in vista di una loro confutazione o di una loro maggiore comprensione e fondamentazione. Nel primo caso l’analisi razionale non è necessaria, perché la fede appare luminosa per se stessa. Nel secondo caso, invece, l’analisi razionale della fede è indispensabile. Questo secondo caso si verifica quando: – a) si desidera conoscere la fede più profondamente attraverso lo studio teologico; – b) ci si assume il compito di trasmetterla ad altri attraverso la catechesi o l’azione pastorale in genere; – c) ci si trova nella necessità di difenderla di fronte a chi vorrebbe mostrarne l’inconsistenza.
Anche la Chiesa, nel suo magistero, quando vuole presentare all’uomo d’oggi il messaggio cristiano in modo efficace, deve fare ricorso alla ragione per rendere comprensibile la verità rivelata e difenderla di fronte agli argomenti di chi vuole negarla. La ragione, d’altra parte, è necessaria anche per capire la cultura del mondo moderno, senza di che sarebbe impossibile il dialogo. Il dialogo con la cultura moderna, poi, è desiderabile e possibile anche perché spesso affonda le proprie radici nel pensiero cristiano. Di questo, Benedetto XVI era convinto e, nei suoi interventi, non solo interpretava in modo autorevole il messaggio cristiano, ma ci offriva pure un modello di dialogo. Ed è proprio questo tipo di dialogo che ci permette capire il valore e i limiti del progresso scientifico e tecnico.
In dialogo con la cultura moderna, Benedetto XVI, nell’enciclica Spe salvi, volle riproporre l’essenza del messaggio cristiano alla luce della Parola di Dio e dell’insegnamento dei Padri, riformulando le ragioni della fede in termini comprensibili per l’uomo moderno. Come scrive il P.Sorge in Aggiornamenti sociali, nell’enciclica Spe salvi il Papa si propone di ottenere questo scopo attraverso quattro passaggi logici fondamentali: richiama, anzitutto, la vera natura e il contenuto della speranza cristiana alla luce della Bibbia e dell’insegnamento dei Padri (n.1-15);poi, si interroga sul perché essa sia stata offuscata dalle speranze del mondo moderno (16-23); quindi, mostra come le speranze del mondo moderno si possono integrare con la speranza cristiana (24-31); e, in fine, indica dove e come imparare a esercitare la “grande speranza” oggi (32-50).
Rispondendo alla domanda, “com’è potuto accadere che le grandi speranze del mondo moderno si siano sovrapposte alla grande speranza fino a offuscarla”, il Papa esamina le componenti essenziali della cultura moderna, caratterizzata da una mentalità, sempre più diffusa, secondo la quale “il progresso umano è solo opera della scienza e della tecnica; mentre alla fede compete solo la salvezza dell’anima, una salvezza puramente individuale”. Questa mentalità, facendo leva su due grandi idee forza, la ragione e la libertà, che in realtà hanno la loro radice più feconda nel pensiero cristiano, ha portato l’uomo moderno a credere di poter costruire il “regno dell’uomo” qui sulla terra, in contrapposizione al “Regno di Dio”. La fede nella ragione, che attraverso la scienza offrirebbe all’uomo il dominio sulle forze della natura permettendogli di vincere ogni male, e “la speranza che, cambiando le strutture economiche e politiche, si possa dar vita finalmente a una società giusta, dove regna la pace, la libertà e l’uguaglianza”, sono le due idee forza che hanno allontanato progressivamente l’uomo moderno dalla fede cristiana.
Di fronte a questa constatazione, il Papa ritiene che il mondo moderno debba fare una seria autocritica. Da questa autocritica non è dispensato neppure il cristiano, perché questa visione delle cose fa sì che la fede “pur non essendo negata, venga spostata su un altro livello – quello delle cose solamente private e ultraterrene – e diventi in qualche modo irrilevante per il mondo” (Ss, 17). “Dobbiamo constare che il cristianesimo moderno, di fronte ai successi della scienza nella progressiva strutturazione del mondo, si era in gran parte concentrato soltanto sull’individuo e sulla sua salvezza. Con ciò ha ristretto l’orizzonte della speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente la grandezza del suo compito…”(Ss, 25). Questa osservazione di Benedetto XVI mostra la sua acutezza di analisi e quanto sia falso l’accusa che a volte gli è stata fatta di voler riportare la Chiesa a prima del concilio Vaticano II. In realtà egli ha difeso una visione di Chiesa che è la stessa della Gaudium et spes.
Tommaso Cavazzuti