Riguardo a due libri sul Pci presentati alla libreria Fenice a Carpi
Sarà il caso o forse anche no, ma nell’ultimo mese la presentazione di due libri alla libreria Fenice di Carpi ha offerto occasioni per riflessioni di ampio respiro.
Il 24 settembre il lavoro di Claudio Caprara dal titolo FISCHIAVA IL VENTO. UNA STORIA SENTIMENTALE DEL COMUNISMO ITALIANO. Il 17 ottobre quello di Walter Dondi L’ULTIMA DOMENICA DEL PCI sul giorno, il 12 di novembre 1989, immediatamente a ridosso della caduta del muro di Berlino, in cui Achille Occhetto annunciava il cambio del nome del partito. Per un malinconico maniaco della riflessione politica, una occasione ghiotta. Va precisato che noi eravamo presenti in partibus infidelium. Noi siamo di appartenenza e tradizione cattolica e democristiana, di quella storia non abbiamo fatto parte, ma la conoscevamo bene anche senza averla vissuta da dentro.
Siamo andati agli incontri come attenti osservatori esterni, ma ancor più per capire chi sono coloro con cui dagli anni Novanta in poi abbiamo condiviso un percorso politico: ci interessa molto l’oggi e, quel passato, innanzitutto per capire come orientarci meglio nel futuro.
I libri e gli interventi ci hanno confermato in una convinzione, neanche molto originale, che alla valutazione di quello che il Pci è stato nella storia italiana sono più utili le categorie del religioso che non quelli proprie della politologia, necessarie queste ma non decisive per capire che cosa quell’esperienza è stata per milioni di persone.
Una chiesa prima che un partito. Quest’ultimo immagina la propria ragione sociale nella conquista democratica del potere per orientare la società secondo i propri valori, ha una natura strumentale e non fine a se stessa. Una chiesa è una forma di aggregazione intorno a una serie di principi di fede, condivisi dai credenti e, quel che più conta, con una forte valenza identitaria per chi vi appartiene con il correlato di marcare fortemente le differenze con gli esterni.
La quantità di esempi e fatti che attestano questa differenza è sterminata. Per obbligo di sintesi ne cito due o tre.
Il processo di “beatificazione” che ha riguardato la persona di Enrico Berlinguer, politico che è stato sottratto a qualsiasi possibilità di giudizio analitico e critico per essere proiettato nell’iperuranio dei santi venerabili del comunismo.
Per stare più sul leggero, l’invocazione di Nanni Moretti, nel film Aprile, “D’Alema dì qualcosa di sinistra” è quella di un credente in crisi di fede, di un fedele che sente venir meno la giuda dei pastori.
L’uso frequentissimo della parola Sinistra con la maiuscola, essendo non più utilizzabile quella di Comunismo, attesta anche nel presente il permanere della necessità di individuazione e delimitazione di un campo di appartenenza, di un termine che marchi con forza un’identità prima ancora che degli orientamenti politici (cfr. la noiosissima questione sul cosa vuol dire essere di sinistra oggi che ribalta la corretta correlazione fra strumenti e fini).
Il partito/chiesa assolve al bisogno di concetti forti che imbriglino la multiforme varietà del reale e che, anche nella loro astrattezza e semplificazione siano uno strumento di condivisione di una ideologia che confermi un sentire comune, una fratellanza. E peggio per chi sta fuori.
Il vero paradosso stava nel fatto che il partito che più d’ogni altro si faceva guidare dalla prassi e non dall’ideologia, dalla concretezza della realtà così com’è e, rispetto a questi presupposti, orientava la propria politica, è stata la Democrazia Cristiana: un partito con il termine cristiana nel nome! La Dc è stato un partito molto più sanamente laico dell’allora Pci.
La parola sentimentale nel titolo del libro di Caprara dice tutto: quello che oggi possiamo raccontare di allora è un’esperienza collettiva di aggregazione che ha arricchito l’esistenza di tanti ma, quanto a successo politico, misurabile con i risultati della pratica di governo, Emilia, Toscana escluse, beh…meglio lasciar perdere.
Il vero problema è che questo religiosità politica ha fortemente condizionato tutto quello che è venuto dopo la svolta della Bolognina: si è cambiato nome, ma il modo di stare sulla scena pubblica ha faticato ad affrancarsi da uno stile che fu. Quella simpatica elegia funebre di Walter Dondi, non riesce a nascondere che si stava meglio quando si stava peggio, cioè non si era nemmeno lontanamente competitivi sulla scena nazionale.
Un uomo acuto e intellettualmente libero come Claudio Bergianti ha voluto individuare i segni di una svolta sostanziale nelle politiche dell’Ulivo degli anni Novanta. Le liberalizzazioni, ancorché timide, di Bersani che avevano l’obiettivo di sprigionare le energie migliori di una società chiusa e corporativa qual era quella italiana di allora (e di oggi!) sono il condivisibile esempio che ha fatto. Un esempio di orientamento liberale che quasi nessuno per decenni aveva avuto il coraggio nemmeno di pensare. Ma fanno più tristezza che orgoglio per il desolante isolamento in cui sono rimaste, anche laddove il centrosinistra ha avuto responsabilità politiche primarie.
L’auspicabile esito di quel cambio di nome, fin troppo tardivo dal momento che dagli anni Settanta era chiaro che quella della società comunista era un’illusione, se non spesso un incubo, doveva essere un proiettarsi verso il futuro con un’audacia e una spregiudicatezza che un partito di accoliti quale era la Chiesa-Pci non si è dimostrato capace a fare e che ancor oggi, in coloro che da quella tradizione provengono, non si riesce a capire se abbiano voglia di fare o preferiscano accoccolarsi nel tepore del dichiararsi orgogliosamente di Sinistra senza che si capisca cosa questo voglia dire. Alle primarie del Pd del 2009, un partito nato da due anni, lo slogan del vincitore Bersani fu Dare un senso a questa storia…e ho detto tutto!
Chi, come chi scrive, aveva scommesso su quanto di nuovo poteva sortire dal terremoto politico dei prima anni Novanta sente di dover praticare un sano disincanto, che è qualcosa che non è ancora rassegnazione. L’incontro fra cattolici e progressisti, fra ex di qua e ex di là, è rimasta più una formula che una realtà, formula funzionale al mantenimento delle cariche di un ceto politico impiegatizio. Il centrosinistra oscilla fra l’euforia provocata da quella droga che è diventata la piazza e lo sconforto delle urne. Di progetti riformisti solidi e appetibili per l’elettorato non v’è traccia.
Oggi siamo in una situazione di sospensione fra un non più e un non ancora che da quel che si vede può protrarsi per decenni. Ma il paese ha bisogno che si attrezzino proposte politiche alternative e competitive. Se vincono sempre quelli alla fine si perde tutti
Mario Lugli

