La dura legge della piazza

La dura legge della piazza

Dal Concilio Vaticano II in poi, l’impegno politico è diventato una sorta di mantra per il cattolico attivo; le associazioni cattoliche ce l’hanno scritto nero su bianco fra i propri obiettivi e viene ricordato persino la domenica nelle preghiere dei fedeli. Ma siamo sicuri che basti scriverlo negli Statuti e ripeterlo ogni settimana per trovare poi un riscontro effettivo nella vita reale? E quando davvero il cattolico si getta nell’agone, magari animato dalle più buone intenzioni, lo fa avendo a disposizione gli strumenti necessari per non farsi strumentalizzare da chi conosce meglio le regole del gioco? Insomma, basta la buona volontà per ottenere buoni risultati?

Quando si discetta di “impegno politico dei cattolici” diventiamo tutti molto cauti e misuriamo le parole. Affrontiamo il tema dopo lunghe premesse, tese a non urtare le diverse sensibilità e tenere dentro tutti, anche gli opposti. La prudenza è quasi inscritta nel nostro dna, motivo per cui ci trovavamo così bene tra i felpati riti democristiani della Prima Repubblica. Ed è paradossale perché l’impegno politico, se non vuole essere aleatorio, non prevede soltanto una buona capacità di mediazione, ma anche una certa dose di capacità muscolare. Ed è qui che ci troviamo particolarmente deficitari.

Per me, il caso delle manifestazioni di piazza proPal è stato emblematico. La Flotilla ha animato il dibattito per settimane  – fenomeno tutto italiano, visto che nel resto d’Europa è stata pressoché ignorata – prendendosi le prime pagine dei giornali. E il mondo cattolico, solitamente schivo a immischiarsi nelle iniziative di piazza – per di più organizzate da altri – stavolta aveva aderito con una certa convinzione, supportato dalle parole forti di qualche cardinale in vista e incoraggiato dalla stampa della CEI.

Tuttavia, come ha rilevato Mario Lugli nel suo articolo su Scintilla, i messaggi lanciati il 2 ottobre al corteo di Carpi – ma anche nelle altre piazze d’Italia – erano radicali, “senza se e senza ma”, come poi lo sono sempre nelle piazze lasciate a se stesse e non guidate in maniera chiara.

Nella vicenda Flotilla la sensazione è che i cattolici abbiano semplicemente portato acqua al mulino di altri, senza manifestare una posizione o una lettura del conflitto diversa da quella estremista. Non si sa se per ignoranza, timidezza o per sincera adesione agli slogan più radicali. Il cattolico che scandiva a gran voce: “Palestina libera dal fiume al mare” era consapevole di invocare la cancellazione dello Stato di Israele, come previsto nella Costituzione di Hamas? Quello che incitava la Flotilla ad “andare avanti”, rifiutando la mediazione auspicata dal Presidente Mattarella e dal Patriarcato di Gerusalemme, era consapevole di non fare il bene del popolo palestinese, ma soltanto di qualcuno in cerca di visibilità? Chi ha aderito a uno sciopero senza preavviso era consapevole di agire in contrasto alla Costituzione? Chi ha fischiato il sindaco di Reggio Emilia, colpevole di chiedere la liberazione degli ostaggi israeliani, era consapevole di schierarsi dalla parte dei terroristi assassini di Hamas? Personalmente, qualche dubbio sul livello di consapevolezza, che nasce sempre dalla conoscenza della Storia, ce l’ho.

Le piazze sono magmatiche e ondivaghe. Per non affondarci, bisogna saperle navigare. Persino quelle in cui ci siamo soltanto noi, figurarsi le altre. Ricordo il disagio sentito durante la Veglia alla Giornata mondiale della Gioventù del 1992 a Denver, nella spianata dove mi trovavo con migliaia di giovani. Quando arrivò Giovanni Paolo II, partirono ovazioni intermittenti che durarono a lungo: “We love you, John Paul II!!!”. A me sembrava un entusiasmo eccessivo, che sfiorava il culto della personalità e mi auguravo che il Papa a un certo punto alzasse una mano e dicesse: “Vi ringrazio per l’affetto, ma basta così.” Correva voce che a lanciare i cori fossero i giovani dei nuovi Movimenti allora in gran spolvero: Comunione e Liberazione, Neocatecumenali e Focolarini. Non so se fosse vero. Però, da allora nacque l’espressione Papa-boys per indicare in modo collettivo i giovani che partecipavano alle Giornate Mondiali della Gioventù. E mi ritrovai appiccicata addosso quella definizione, mio malgrado.

Insomma, le piazze sono oggetti da maneggiare con cura. E non c’è niente di male a fare un passo indietro e ad ammettere di non avere gli strumenti per starci dentro in modo adeguato, nonostante la buona volontà e la tensione morale a dare gambe a un “impegno politico” che spesso rimane solo sulla carta.

Saverio Catellani