Anno nuovo, diocesi nuova

Anno nuovo, diocesi nuova

La pace secondo don Erio e …

Intervistato da un quotidiano, in occasione dell’Assemblea di avvio dell’anno pastorale, il nostro Vescovo ha così commentato la fase “fusionale” delle due diocesi: “Il problema fondamentale è che siamo carenti di collaborazione e di concordia, facciamo fatica a condividere il lavoro e a sintonizzarci, a procedere sinodalmente”. Parole esplicite, che rivelano un sofferto vissuto, malgrado l’enfasi posta sul riassetto strutturale operato attraverso il passaggio semplificatorio da ventotto “uffici” a undici “servizi” pastorali.

Si tratta insomma, come era facile prevedere, di un processo non proprio pacifico e piuttosto travagliato, ma improrogabile in tempi di crisi profonda che, come tutto il cattolicesimo nord-occidentale, anche le nostre locali Chiese particolari attraversano. Si pensi anche solo al dato denunciato da don Gildo su Notizie: “Quest’anno è il primo in cui la diocesi di Carpi non ha NESSUN seminarista e tutto il Seminario Metropolitano è in affanno”. In queste condizioni di evidente astenia che senso avrebbe avuto attardarsi sulla nostalgica conservazione dello status quo?

Proprio perché la problematica concreta di questi mesi, nelle nostre due comunità ecclesiali, esige una energica, capillare promozione e formazione allo stile “unitario”, al superamento di campanilismi, gelosie, pregiudizi, non pochi si attendevano che su questi temi ponesse particolare accento, con la competenza teologica e la sensibilità sinodale che gli si riconoscono, DON ERIO nella tradizionale lettera di inizio d’anno pastorale.

Invece, evidentemente ispirato dal primo saluto al mondo dal neoeletto papa Leone ( “la pace sia con tutti voi” e “una pace disarmata e disarmante”) ci ha inviato un ponderoso saggio (otto pagine del settimanale diocesano) sulle tragedie che affliggono oggi il l’orbe terracqueo (guerre, migrazioni, diseguaglianze, violazioni de diritto internazionale, ecc.) e sulle precondizioni spirituali, economiche e politiche per costruire un ordine mondiale sempre meno oppresso dagli affanni di questo nostro tempo. Qualche malevolo ha interpretato tale scelta come una manovra di distrazione di massa del residuo gregge, rispetto ai nodi irrisolti della fusione, e alle recriminazioni dei soliti tradizionalisti. Così non è. Infatti, come è apparso chiaro nella relazione che il Vescovo ha tenuto all’Assemblea interdiocesana del 20 settembre, i due temi (cura per la pace-unità per costruire la nuova diocesi) devono intrecciarsi nell’attenzione e nell’impegno delle nostre due comunità ecclesiali dei prossimi mesi.

 In quella occasione, citando San Paolo, ha richiamato il rimprovero dell’Apostolo ai Corinti per le divisioni emerse in quella comunità, insistendo sulla necessità di “collaborare anche quando non si condividono determinate scelte”.  L’importante, per don Erio, è avere un “orizzonte comunitario”. E la profezia è grande se non è del singolo o di un gruppo, ma “di popolo”.

Ma torniamo alla lettera. Parte dal grido degli oltre centomila giovani dei cinque continenti durante il loro Giubileo: “Vogliamo la pace nel mondo!”, per poi denunciare la guerra come “impasto di tutti i mali”. Però quello del cristiano, chiarisce il Vescovo, non è un pacifismo ingenuo, perché nella sua visione dell’uomo c’è la “compresenza di due spinte al bene e al male”, e quindi, come ha riconosciuto il Concilio: “La guerra non è purtroppo estirpata dall’umana condizione….e non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa” (GS,79).

Data però la straordinaria potenza distruttiva delle armi moderne, il medesimo documento conciliare afferma: “Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale, l’umanità…sarà forse condotta funestamente a quell’ora, in cui non si potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della morte” (GS 80-82). Come affrontare allora il problema?  Don Erio risponde: NON con un massiccio riarmo “come quello che negli ultimi mesi sta tentando persino l’Europa”, bensì lavorando perché l’ONU debitamente riformato sia in grado di ridurre “la corsa agli armamenti e i conflitti che ne seguono”. Quanto ciò possa avvenire purtroppo è assai dubbio, anche per lo stesso Vescovo, quando ammette la “riconosciuta inefficacia” di tale organismo, afflitto dal DIRITTO DI VETO di cui godono in Consiglio di Sicurezza le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale; un diritto che “riesce a bloccare ogni possibile adeguamento e, soprattutto, ogni intervento che per qualche motivo vada contro gli interessi di una di queste potenze”. Ma se così è, osiamo osservare, se è illusorio immaginare che nel breve-medio periodo si possa contare sulla capacità pacificatrice di un’istanza sovranazionale, quale alternativa può esserci ad un rafforzamento dei dispositivi di difesa, senza esporsi all’aggressività neoimperialistica, cui oggi sgomenti assistiamo? Beninteso percorrendo al contempo con convinzione il confronto diplomatico per ridurre e, se possibile, risolvere i conflitti.

Tuttavia, esorta don Erio sulla scia di papa Leone, le nostre comunità ecclesiali non devono sentirsi del tutto impotenti di fronte a questi scenari mondiali: possono costituire un pentagono di pace, con cinque azioni concrete alla portata di tutti: sdegnarsi e alzare la voce; favorire il dialogo; pregare e intercedere; rimboccarsi le maniche e aiutare; testimoniare e rimanere fedeli a Gesù. La lettera analizza a fondo condizioni e possibili piste di lavoro per ciascuna di queste cinque indicazioni, al fine di disarmare le coscienze, le parole, le anime, le mani, i cuori.

Prima della intensa conclusione che richiama San Francesco, divenuto agli occhi di credenti e non credenti il simbolo della pace, seguita dalla commossa finale  invocazione alla Vergine Regina Pacis, il Vescovo invita opportunamente a ricordare, specialmente ai giovani, due discepoli di Cristo delle nostre diocesi, esemplari testimoni di pace, di amore per la libertà e di dedizione ai fratelli, martiri durante la Seconda Guerra Mondiale: il laico carpigiano Beato Odoardo Focherini e il presbitero modenese don Elio Monari.

Ci sia lecito aggiungere due nostri parroci martiri nel medesimo periodo e non meno esemplari: il Beato don Luigi Lenzini (Crocette di Pavullo) e don Francesco Venturelli (Fossoli di Carpi), la cui memoria la diocesi rinnoverà solennemente, il prossimo gennaio, nell’ottantesimo anniversario dell’uccisione.  Anche per queste vittime dell’odio e della violenza mancò allora tragicamente il disarmo delle mani e dei cuori.

Pier Giuseppe Levoni